«La preghiera del povero attraversa le nubi/né si quieta finché non sia arrivata», dice il libro del Siracide nella prima lettura di questa domenica. C’è una preghiera che “buca” il cielo e arriva dritto al cuore di Dio. È la preghiera del povero. Il povero non è semplicemente chi manca dei beni materiali, ma è il povero di spirito, colui che sente con dolore il suo essere peccatore, il suo essere bisognoso di perdono e di pietà.
È ciò che vediamo nell’episodio del fariseo e del pubblicano al Tempio. I farisei erano persone estremamente scrupolose nell’osservare la legge religiosa. Erano persone “per bene” e stimate dal popolo. Questo fariseo digiuna due volte alla settimana e paga la decima di tutto quello che guadagna. Perciò si ritiene in credito verso Dio, non attende misericordia, perché non ne ha bisogno.
I pubblicani invece erano dei peccatori: riscuotevano i tributi per conto dei romani, perciò erano dei traditori del popolo. Però quest’uomo della parabola è consapevole di essere un peccatore, sa di non poter pretendere nulla da Dio. Può solo chiedere, sapendo di non meritare ciò che chiede.
Il finale è che solo il pubblicano viene ritenuto giusto.
Dio ragiona diversamente da noi. Per noi la giustizia è “dare a ciascuno il suo”, perciò il fariseo dovrebbe essere premiato da Dio e il pubblicano punito. Invece Dio preferisce il pubblicano, lo giustifica, lo dichiara salvo perché ha atteso la salvezza solo dalla misericordia di Dio e non come esito dei suoi presunti meriti. Così Gesù ci mostra il vero volto di Dio. E infatti nei Vangeli non c’è un solo caso in cui un peccatore sia andato da Gesù riconoscendosi bisognoso di aiuto, di misericordia e sia stato respinto. La scena è invece sempre la stessa: quando uno va da Gesù chiedendo pietà, lui ha compassione, lo accoglie, lo guarisce, lo ricrea.
Don Davide