All’epoca di Gesù non tutti gli ebrei credevano che nell’aldilà ci fosse una vita degna di questo nome. Continuava ad avere un certo seguito l’idea che con la morte tutti – buoni e cattivi – finissero nello sheol, una sorta di regno dei morti in cui le persone si riducevano ad essere delle ombre di se stesse, figure evanescenti senza più speranza. Nell’episodio del vangelo di questa domenica Gesù rivela un’altra prospettiva sulla morte: essa è un passaggio verso la redenzione del nostro corpo, cioè della vita come l’abbiamo vissuta qui sulla terra. La nostra esistenza non sta correndo verso il nulla, non è destinata ad essere inghiottita dalle tenebre della morte. C’è una vita oltre la vita. Gesù la chiama risurrezione.
Ciò che risorgerà non è semplicemente “la nostra anima”. Gesù parla di resurrezione del corpo: risorgeremo proprio noi. Siamo infatti persone che hanno una storia, fatta di gioie, di sofferenze, di rapporti umani che fanno parte di noi; una storia fatta di speranze, attese, cadute, fallimenti, impegno per costruire qualcosa di bello… risurrezione vuol dire che tutto questo non va a finire nel nulla, ma Dio gli conferisce un valore eterno.
Come questo avverrà rimane un grande mistero, e non ha senso farsi prendere dall’ansia di dare risposte a questioni che riguardano il come e il quando della risurrezione. Rimane però questa parola di Gesù che deve diventare la roccia su cui poter costruire. Il Signore prende spunto dall’obiezione dei sadducei (la storiella della donna che va in sposa a sette mariti diversi perché le muoiono uno dopo l’altro) per insegnare che la nostra vita non è in balia di quella grande forza distruttrice che si chiama morte, destinata a spazzare via noi e tutti quelli che amiamo. C’è qualcuno che è più grande della morte. Lui non permetterà che la morte sia l’ultima parola su di noi, su coloro che amiamo, su ogni uomo che viene in questo mondo.
Don Davide