Con l’inizio dell’avvento la chiesa ci rivolge un richiamo molto forte: torna in te stesso, ricordati chi sei e cosa è davvero importante per la tua vita, risveglia nel cuore l’attesa di Cristo.
Il vangelo ci parla proprio dell’attesa come dell’atteggiamento più importante se vogliamo che la nostra vita sia autentica. Il Signore infatti è colui che è, che era e che viene; è il Dio che ha passione per le nostre esistenze, tanto da farsi nostro compagno di strada ogni giorno. Così è venuto duemila anni fa incarnandosi nell’uomo Gesù, viene ogni giorno nelle nostre vite, verrà alla fine dei tempi “a giudicare i vivi e i morti”, cioè a salvare in modo definitivo l’umanità intera. Ma se non abbiamo il cuore teso a questo annuncio, se in fondo siamo ripiegati sui nostri piccoli o grandi problemi, i nostri progetti, le preoccupazioni che comprensibilmente affollano la nostra mente non siamo in grado di fare spazio a lui. Cristo viene a bussare alla nostra porta, ma non riusciamo ad accorgercene, tutti presi dal frastuono in cui le nostre esistenze sono immerse. Proprio come ai tempi di Noè, come ci ricorda il vangelo di questa domenica: «prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti». L’avvertimento è chiaro: la vita la possiamo sprecare se non riponiamo la nostra speranza nel Signore che viene a darle senso. Ci condanniamo da soli all’insignificanza e alla superficialità se non abbiamo un cuore che cerca davvero la salvezza. Non si tratta ovviamente di rifugiarci in uno sterile misticismo, ma di fare della nostra vita quotidiana, con tutte le sue speranze e le sue fatiche, il terreno fertile in cui l’attesa del Salvatore apre il nostro cuore all’incontro salvifico con lui già in questa vita, in attesa dell’incontro pieno e definitivo che avverrà alla fine.
Don Davide