La terza domenica di avvento ha sempre come tema la gioia.
Di fronte a questo invito a gioire dobbiamo ammettere che potremmo provare un po’ di disagio, perché anche noi cristiani possiamo trovarci a vivere in una situazione di desolazione, di tristezza, di angoscia. Allora il richiamo alla gioia potrebbe essere sentito quasi come una forzatura, un invito ad imporsi di gioire quando in realtà non c’è niente da gioire.
In realtà la Scrittura è molto realista, non invita mai a una gioia ingenua, sa che nella vita c’è la prova, c’è la sofferenza e la morte. Infatti la bellissima lettura di Isaia ci parla di deserto, di terra arida, di steppa come metafore della condizione in cui spesso noi esseri umani ci troviamo. Poi parla di mani fiacche, di ginocchia vacillanti, di cuori smarriti, cioè di una grande debolezza che spesso ci troviamo addosso. Isaia sta parlando del popolo di Israele, ma è evidente che questa è la condizione dell’uomo di ogni tempo, quindi anche la nostra.
La domanda allora è se in questa condizione è possibile la gioia, la speranza. Sì, è possibile. È possibile se capita “l’impossibile”, cioè che Dio in persona venga in questo deserto, cammini con noi e ci prepari una strada di salvezza. Isaia sembra suggerire che Dio non ci salva togliendoci il deserto ma facendolo fiorire. Detto con altre parole, preparandoci nel deserto una via di salvezza, una strada in cui lui cammina con noi fianco a fianco. La sua presenza ci fa vivere tutte le circostanze diversamente, fa sì che la speranza trasfiguri la nostra esistenza donandole senso. La vita allora, con tutte le sue lotte e contraddizioni, diventa un’avventura, un cammino veramente umano verso un compimento che ha già iniziato a realizzarsi e che si realizzerà in modo totale alla fine dei tempi.
Don Davide