Nella chiesa di oggi capita spesso di imbattersi in una sorta di “ansia” di fronte al (triste) spettacolo di un mondo sempre meno cristiano. Da qui una serie di considerazioni da ragionieri, per esempio sul numero dei partecipanti alla messa (in costante calo), o sulla crisi delle vocazioni (idem), o magari, quando va bene, sul successo che una certa iniziativa riscuote in termini di partecipazione.
Nel vangelo di questa domenica Gesù ci indica un’altra direzione. Usa come sempre delle immagini che colpiscano la nostra immaginazione e ci facciano quasi “vedere” chi e cosa dobbiamo essere nel mondo di oggi. Il Signore parla di noi come del sale della terra, città posta sul monte, luce che illumina un ambiente altrimenti immerso nelle tenebre. Sono metafore che sembrano quasi suggerire che il destino dei cristiani nel mondo è quello di essere una realtà limitata da un punto di vista numerico, piccola, per niente egemonica. E allo stesso tempo realtà di un’importanza vitale per la felicità del mondo, segno e strumento di speranza per tutto il genere umano, inizio di un’umanità nuova a cui tutti possono guardare. Se invece diventiamo come il sale che perde sapore o come una lampada che viene messa sotto il moggio siamo insignificanti e inutili.
La prima lettura ci indica la cosa più importante per essere ciò che dobbiamo essere: la carità, cioè un dono di sé pieno di commozione per chiunque incontriamo, specialmente per chi più è nel bisogno. Solo la carità rende davvero presente la vita stessa di Dio e fa intravedere il mondo nuovo che Cristo è venuto a portare.
Don Davide