Per la terza domenica di fila nel vangelo si parla di una vigna. L’idea di fondo è una vigna trova la sua ragion d’essere unicamente nel portare frutto. Se non porta frutto non serve a niente. Fuor di metafora, Dio ha scelto un popolo per essere strumento di salvezza per il mondo intero, ma se questo popolo si chiude in sé stesso e si dà alle opere del male ecco che non serve più a nulla.
Nel brano della liturgia di questa domenica Gesù racconta una parabola che ci presenta una situazione inverosimile. Si parla di un padrone che, nonostante abbia appurato la malvagità dei contadini continua a sperare in un loro ravvedimento. Finisce per mandare suo figlio, sperando che almeno di fronte a lui abbiano rispetto. Le cose, come sappiamo, vanno diversamente.
È esattamente quello che è successo nella storia della salvezza. Dio invia prima i profeti, molti dei quali vengono perseguitati, e infine manda il suo stesso Figlio che viene preso, cacciato “fuori dalla vigna” e ucciso. Il finale del brano è che a questi vignaiuoli malvagi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.
La parabola parla ai cristiani di tutti i tempi. Dio ci ha chiamati perché portiamo frutti di salvezza per il mondo intero. Una cattiva educazione cristiana ci ha abituati a pensare il nostro essere cristiani in modo individualistico, come se la fede avesse come fine principalmente la salvezza della propria anima, il raggiungimento di un benessere personale o di una consolazione religiosa.
Questo è il motivo per cui tanta gente intelligente si è allontanata dalla Chiesa: ha visto troppo spesso cristiani individualisti e preoccupati fondamentalmente di sé stessi.
Invece esistiamo in funzione degli altri, siamo scelti perché tutti possano incontrare Gesù Cristo e così fare esperienza di un mondo rinnovato. Don Davide