La parabola che ascoltiamo questa domenica è tratta dal capitolo che precede il racconto della passione. Il brano parla proprio di un signore che sta per partire per un viaggio da cui tornerà dopo molto tempo. Anche Gesù con la sua passione e morte sta per compiere un lungo viaggio, da cui un giorno farà ritorno. In mezzo sta il tempo dell’attesa, quello che stiamo vivendo noi. È vero infatti che lui ci ha promesso di essere con noi tutti i giorni. Ma non è estranea al Nuovo Testamento l’idea di una distanza che ancora c’è tra noi e lui, una condizione di esilio che viviamo lontano da lui in questa terra.
La parabola mette l’accento proprio su questo tempo di mezzo che intercorre tra la partenza del padrone e il suo ritorno. Quest’ultimo prima di partire distribuisce le sue immense ricchezze ai servi, dando a ciascuno uno o più talenti. Si tratta di una ricchezza che deve essere trafficata e fatta fruttare.
Gesù insegna che ci verrà chiesto conto di come abbiamo usato i talenti che Dio ci ha dato. Ma sarebbe fuorviante pensare che questi talenti siano semplicemente le doti che abbiamo, le qualità che ci rendono naturalmente bravi in qualcosa. Cristo non vuole da noi qualcosa, non vuole “risultati”, vuole il nostro cuore. L’enorme ricchezza che deve portare frutto è la nostra stessa vita, così come è, magari piccola e includente ai nostri occhi ma, a guardare più in profondità, anche piena di bene, ricca dei nostri tentativi e della nostra lotta per affermare un senso per noi e per il mondo. Seguire Cristo ogni giorno e offrirgli la nostra vita così come è perché il suo regno si realizzi: questo è il vero frutto che lui si attende da noi. Chi invece vive solo per se stesso, per la propria tranquillità o il proprio tornaconto non porta frutto e spreca la sua vita.
Don Davide