Un anno è davvero lungo e a tutti capita di stupirci quando pensiamo a quante cose sono successe in questo arco di tempo: avvenimenti belli e brutti, nuovi incontri e amicizie, perdite importanti, fatti che mai avremmo pensato potessero riguardarci. L’inizio di un nuovo anno è fatto di speranza e di timore, ecco perché ci viene spontaneo farci reciprocamente gli auguri.
Anche la Chiesa ci augura un “buon anno”, ma lo fa a modo suo. Lo fa ricordandoci perché, nonostante tutto, possiamo guardare con fiducia il futuro.
La prima lettura di questa domenica, tratta dal libro dei Numeri, ci dice che Dio benedice le nostre vite, cioè “dice bene” di noi: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace». Spesso tendiamo a disprezzarci, a pensare che non valiamo, che siamo inutili e sbagliati. Dio ci guarda in un altro modo e vede in ciascuno di noi qualcosa di prezioso e di bello. Vede nelle nostre vite incompiute e sconclusionate delle storie piene di grazia. Una grazia che dobbiamo imparare a riconoscere tra le pieghe oscure di cui le nostre esistenze spesso sono fatte.
Nella seconda lettura San Paolo ci ricorda dove si radica questa benedizione di Dio: c’è in noi qualcosa di più profondo del nostro male e delle nostre sconfitte, qualcosa che più di tutto il resto definisce le nostre identità: il fatto di essere figli. Possiamo chiamare Dio “Padre”, anzi “Abbà” (papà, babbo).
Impariamo, come ha fatto Maria, a custodire queste cose nel nostro cuore, per farle diventare forma della nostra vita, sguardo sul mondo e su tutto ciò che accade. Solo così il 2023 sarà davvero un buon anno.
Don Davide
Vi aspettiamo questa sera alle 19.15 


«Dio con noi». Questo è l’annuncio che domina la quarta domenica di avvento. Annuncio che, se accolto, fa entrare nella nostra vita almeno un barlume di consolazione e di gioia.
Il cuore dell’uomo è fatto per essere “con”. Siamo esseri relazionali, continuamente tesi agli altri, all’incontro con qualcuno che sta oltre i confini del nostro io. L’essere umano non è fatto per essere solo, come viene detto fin dalle prime pagine della Bibbia, ma tende continuamente a una comunione, a una compagnia in cui possa trovare la sua vera casa. Ecco perché soffriamo quando ci sentiamo soli, non compresi, o quando la morte o altre vicende della vita ci portano via qualcuno che per noi costituisce una compagnia essenziale.
Il Natale che festeggeremo tra pochi giorni è il memoriale di un avvenimento sconvolgente: Dio stesso si fa presente, compagno di strada, compagnia per la vita quotidiana. Viene nel mondo per illuminare ogni uomo, come dice il prologo del vangelo di Giovanni.
In questi giorni ascolteremo nella liturgia i passi del vangelo che ci parlano della venuta di Gesù nel mondo 2000 anni fa. Sono racconti importanti non solo per la loro bellezza e suggestività, ma soprattutto perché ci ricordano che ciò che accadde in quel tempo è ciò che continua ad accadere nelle nostre vite, nell’oscurità di questo mondo così ferito e bisognoso di un Dio che si faccia uno di noi e venga a condividere le nostre esistenze prendendole per mano e conducendole verso una vita nuova. Egli viene per essere con noi e far «nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Riempiamo il nostro cuore dell’attesa di lui.
Don Davide
La terza domenica di avvento ha sempre come tema la gioia.
Di fronte a questo invito a gioire dobbiamo ammettere che potremmo provare un po’ di disagio, perché anche noi cristiani possiamo trovarci a vivere in una situazione di desolazione, di tristezza, di angoscia. Allora il richiamo alla gioia potrebbe essere sentito quasi come una forzatura, un invito ad imporsi di gioire quando in realtà non c’è niente da gioire.
In realtà la Scrittura è molto realista, non invita mai a una gioia ingenua, sa che nella vita c’è la prova, c’è la sofferenza e la morte. Infatti la bellissima lettura di Isaia ci parla di deserto, di terra arida, di steppa come metafore della condizione in cui spesso noi esseri umani ci troviamo. Poi parla di mani fiacche, di ginocchia vacillanti, di cuori smarriti, cioè di una grande debolezza che spesso ci troviamo addosso. Isaia sta parlando del popolo di Israele, ma è evidente che questa è la condizione dell’uomo di ogni tempo, quindi anche la nostra.
La domanda allora è se in questa condizione è possibile la gioia, la speranza. Sì, è possibile. È possibile se capita “l’impossibile”, cioè che Dio in persona venga in questo deserto, cammini con noi e ci prepari una strada di salvezza. Isaia sembra suggerire che Dio non ci salva togliendoci il deserto ma facendolo fiorire. Detto con altre parole, preparandoci nel deserto una via di salvezza, una strada in cui lui cammina con noi fianco a fianco. La sua presenza ci fa vivere tutte le circostanze diversamente, fa sì che la speranza trasfiguri la nostra esistenza donandole senso. La vita allora, con tutte le sue lotte e contraddizioni, diventa un’avventura, un cammino veramente umano verso un compimento che ha già iniziato a realizzarsi e che si realizzerà in modo totale alla fine dei tempi.
Don Davide