COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 6 NOVEMBRE

All’epoca di Gesù non tutti gli ebrei credevano che nell’aldilà ci fosse una vita degna di questo nome. Continuava ad avere un certo seguito l’idea che con la morte tutti – buoni e cattivi – finissero nello sheol, una sorta di regno dei morti in cui le persone si riducevano ad essere delle ombre di se stesse, figure evanescenti senza più speranza. Nell’episodio del vangelo di questa domenica Gesù rivela un’altra prospettiva sulla morte: essa è un passaggio verso la redenzione del nostro corpo, cioè della vita come l’abbiamo vissuta qui sulla terra. La nostra esistenza non sta correndo verso il nulla, non è destinata ad essere inghiottita dalle tenebre della morte. C’è una vita oltre la vita. Gesù la chiama risurrezione.
Ciò che risorgerà non è semplicemente “la nostra anima”. Gesù parla di resurrezione del corpo: risorgeremo proprio noi. Siamo infatti persone che hanno una storia, fatta di gioie, di sofferenze, di rapporti umani che fanno parte di noi; una storia fatta di speranze, attese, cadute, fallimenti, impegno per costruire qualcosa di bello… risurrezione vuol dire che tutto questo non va a finire nel nulla, ma Dio gli conferisce un valore eterno.
Come questo avverrà rimane un grande mistero, e non ha senso farsi prendere dall’ansia di dare risposte a questioni che riguardano il come e il quando della risurrezione. Rimane però questa parola di Gesù che deve diventare la roccia su cui poter costruire. Il Signore prende spunto dall’obiezione dei sadducei (la storiella della donna che va in sposa a sette mariti diversi perché le muoiono uno dopo l’altro) per insegnare che la nostra vita non è in balia di quella grande forza distruttrice che si chiama morte, destinata a spazzare via noi e tutti quelli che amiamo. C’è qualcuno che è più grande della morte. Lui non permetterà che la morte sia l’ultima parola su di noi, su coloro che amiamo, su ogni uomo che viene in questo mondo.
Don Davide

COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 30 OTTOBRE

Zaccheo faceva un mestiere che lo rendeva odiato da tutti. Era il capo dei pubblicani, ebrei che riscuotevano soldi per conto dell’odiato potere romano. Per di più erano disonesti, aggiungevano una percentuale su ciò che era dovuto. La gente aveva tutte le ragioni di questo mondo per detestarli. Il vangelo ci informa inoltre che Zaccheo si era arricchito grazie a questa attività. Quindi un uomo doppiamente deprecabile.
Però stranamente questo personaggio così spregevole vuole vedere Gesù, e per fare questo sale su un albero. Il Signore lo nota. Qui si vede quanto lo sguardo di Gesù sia diverso dal nostro. Là dove tutti vedono semplicemente un uomo cattivo e da evitare, Gesù vede invece il suo dolore, la sua coscienza di essere “sbagliato”, diverso da come dovrebbe essere. Allo stesso tempo vede il suo desiderio di un impossibile perdono e di una vita diversa, redenta. Gesù vede tutto questo, e dice: «Zaccheo (lo chiama per nome) scendi subito perché devo fermarmi a casa tua». Andare a casa di qualcuno significava in qualche modo compromettersi con quella persona, era un gesto inequivocabile di amicizia. Questa è la grazia, ciò che manda all’aria tutti i nostri schemi, tutto il nostro buon senso: Gesù mostra che per lui non esiste l’uomo irrimediabilmente perduto.
Il finale è che Zaccheo cambia. Ed è interessante la conclusione: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa», Ma chi è entrato in quella casa? Gesù stesso. È lui la salvezza in persona. E aggiunge: «Perché anche egli è figlio di Abramo». La salvezza che porta Gesù è una comunione con lui ma anche un riammettere nel popolo di Dio colui che altrimenti ne sarebbe escluso.
Don Davide

COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 23 OTTOBRE

«La preghiera del povero attraversa le nubi/né si quieta finché non sia arrivata», dice il libro del Siracide nella prima lettura di questa domenica. C’è una preghiera che “buca” il cielo e arriva dritto al cuore di Dio. È la preghiera del povero. Il povero non è semplicemente chi manca dei beni materiali, ma è il povero di spirito, colui che sente con dolore il suo essere peccatore, il suo essere bisognoso di perdono e di pietà.
È ciò che vediamo nell’episodio del fariseo e del pubblicano al Tempio. I farisei erano persone estremamente scrupolose nell’osservare la legge religiosa. Erano persone “per bene” e stimate dal popolo. Questo fariseo digiuna due volte alla settimana e paga la decima di tutto quello che guadagna. Perciò si ritiene in credito verso Dio, non attende misericordia, perché non ne ha bisogno.
I pubblicani invece erano dei peccatori: riscuotevano i tributi per conto dei romani, perciò erano dei traditori del popolo. Però quest’uomo della parabola è consapevole di essere un peccatore, sa di non poter pretendere nulla da Dio. Può solo chiedere, sapendo di non meritare ciò che chiede.
Il finale è che solo il pubblicano viene ritenuto giusto.
Dio ragiona diversamente da noi. Per noi la giustizia è “dare a ciascuno il suo”, perciò il fariseo dovrebbe essere premiato da Dio e il pubblicano punito. Invece Dio preferisce il pubblicano, lo giustifica, lo dichiara salvo perché ha atteso la salvezza solo dalla misericordia di Dio e non come esito dei suoi presunti meriti. Così Gesù ci mostra il vero volto di Dio. E infatti nei Vangeli non c’è un solo caso in cui un peccatore sia andato da Gesù riconoscendosi bisognoso di aiuto, di misericordia e sia stato respinto. La scena è invece sempre la stessa: quando uno va da Gesù chiedendo pietà, lui ha compassione, lo accoglie, lo guarisce, lo ricrea.
Don Davide

COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 16 OTTOBRE

Nel Vangelo di questa domenica Gesù parla della «necessità di pregare sempre». Ma come è possibile pregare sempre? Gesù non insegna che dobbiamo continuamente “dire delle preghiere”, ma che la nostra vita deve svilupparsi come un dialogo continuo con Dio: essere davanti alla sua presenza, qualunque cosa facciamo, qualunque sia la circostanza che stiamo attraversando.
Si dice anche che dobbiamo pregare «senza stancarci». Gesù sa che noi ci stanchiamo, perché tante volte ci sembra di non essere ascoltati. In questo brano il Signore vuole darci le ragioni per cui non dobbiamo mai stancarci di pregare, anche quando sembra che Dio non ascolti. Viene raccontata la storia di una vedova che chiede giustizia a un giudice disonesto che alla fine è costretto a cedere alla sua insistenza. La vedova nella Bibbia è la persona indifesa, debole, povera e maltrattata. La parabola solleva un problema difficile: l’apparente contraddizione tra l’idea di un Dio giusto da una parte, e dall’altra il fatto che questa giustizia sembra tante volte contraddetta dalla storia, dalla vita. Nell’insistenza della vedova sembra essere racchiuso tutto il disagio dei buoni, dei poveri, delle vittime della storia che hanno l’impressione di essere abbandonati.
Gesù ci dice invece che Dio ascolta sempre le nostre preghiere. Il vero punto è un altro: «Il figlio dell’uomo quando tornerà troverà la fede sulla terra?». Il problema di cui ci dobbiamo davvero preoccupare è di credere, fidarci, poggiare veramente la vita su Cristo.
Don Davide

CENTRO DI ASCOLTO

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